Aspetto la pioggia. È come un miraggio o un sentiero che non si trova. Scruto nuvole in cerca di tuoni, di spiragli di lampi. L’altro giorno è durata un attimo. Ho teso le orecchie e respirato quell’aria da temporale restando immobile davanti alla finestra. Ho sentito il vento che si raffreddava e gocce lente tramutarsi in tempesta.
Quando sposto lo sguardo dentro me stessa, mi ritrovo spesso in mezzo a uragani che scuotono ogni cellula del mio corpo. Poi cerco di osservare meglio, di ascoltare e guardare a fondo. Nelle giornate buone trovo germogli, gli stessi che mi capita di incrociare, in questo periodo, mentre cammino. Aspettano il sole come attendono la pioggia. Hanno bisogno di vento e di radici. Hanno bisogno di elementi naturali diversi ma che insieme diventano per loro nutrimento.
I germogli hanno risorse infinite e brevi allo stesso tempo. Ritornano sempre e questo racconta la loro sostanza perpetua. Ma se non sei veloce a vederli ti salutano in fretta. Il giorno dopo sono già qualcos’altro. Non hanno la pazienza di attendere molto. Guizzano e scappano via, decisi a tornare.
La pioggia che stenta è come un germoglio in divenire. Sa che può tornare ma se ne va sempre più veloce. Rara e indispensabile alla stregua di parole fugaci da scrivere per non farle fuggire. Aspetterò la pioggia e la scrittura nuova in questo tempo di aprile. Coltiverò germogli e attimi microscopici dove piantare le loro radici.